Musicista e compositore francese, acclamato a livello internazionale e vincitore di diversi premi, tra cui due Victoire du Jazz e un German Jazz Echo, Vincent Peirani sta rinnovando il linguaggio della fisarmonica, grazie alla sua visione musicale carismatica, cosmopolita e disinibita. Tra le sue numerose collaborazioni, spiccano i nomi di Denis Colin, François Jeanneau, Youn Sun Nah, Émile Parisien, Michel Portal, Louis Sclavis e Michael Wollny.

Parliamo del tuo nuovo album live Jokers: in cosa ritroviamo rispetto al disco in studio del 2022?

Prima di tutto, ci sono nuovi brani (tre in totale: due composizioni originali e una cover di Jeff Buckley) oltre ai pezzi già presenti nell’album in studio. Poi, sono passati due anni da quelle registrazioni, con molti concerti nel frattempo. Naturalmente, la musica si è evoluta, assumendo una dimensione completamente nuova, sia in termini di fraseggio, forme più ampie, improvvisazioni complete e, soprattutto, nello spirito rock energico della performance dal vivo. Questo è un elemento distintivo di questo trio e si percepisce chiaramente in questo nuovo lavoro.

Rispetto a quando hai iniziato, come è cambiato il mondo della fisarmonica, specie in questi ultimi anni?

Il mondo della fisarmonica si è evoluto notevolmente, ma credo che siano principalmente i non fisarmonicisti ad essere cambiati di più. Le persone sono meno legate ai cliché riguardo lo strumento e stanno iniziando a scoprirlo in altri contesti e stili musicali, dove si adatta perfettamente. Inoltre, la nuova generazione di musicisti, inclusi i fisarmonicisti, è già molto più aperta a stili musicali diversi rispetto a qualche anno fa. Ma dobbiamo continuare a spingere e portare questo strumento in territori meno conosciuti!

Hai suonato molto spesso in Italia, che possiamo considerare la patria della fisarmonica. Per la stragrande maggioranza degli italiani la fisarmonica significa liscio, folk e tarantelle, che non son certamente una deminutio capitis. Secondo la tua percezione, gli taliani sono interessati a questo strumento o lo vedono troppo legato alla tradizione?

Sento che in Italia, grazie alla sua forte tradizione, le persone conoscono bene lo strumento e sono piuttosto curiose di sentirlo in altri contesti. Personalmente, ho suonato da solo, in duo con Michel Portal, Yamandu Costa, Émile Parisien, Ulf Wakenius, Youn Sun Nah, con il mio trio Jokers, il mio quintetto Living Being, eccetera, e ogni volta il pubblico è stato molto entusiasta. È davvero commovente!

Quest’altra domanda è conseguenziale. Essendo tu un innovatore nell’ambito di questo strumento, di cui hai rimodulato il linguaggio espressivo, come consideri il futuro della fisarmonica nel jazz?

Avendo incontrato giovani fisarmonicisti che esplorano il jazz, sento che il futuro della fisarmonica è in buone mani! È naturale, dato che ci evolviamo insieme al nostro ambiente. I giovani fisarmonicisti oggi hanno molti più riferimenti per lo strumento rispetto a vent’anni fa, ed è fantastico. Le possibilità si stanno espandendo!

Ti sei costantemente impegnato in progetti e collaborazioni molto differenti tra loro che spaziano tra jazz, folk, rock e classica. Da che cosa nasce questa irrequietezza creativa: eclettismo, desiderio di ricerca e di sperimentazione, o la necessita quasi genetica di volersi di misurare con differenti idiomi musicali?

Se avessi ascoltato molte persone quando ero più giovane, mi sarei limitato alla musica classica o musette. Ma, da grande fan delle band rock anni ’70, un giorno ho avuto una rivelazione. Ricordo di aver messo su Burn dei Deep Purple nella mia stanza e di aver deciso di suonare tutto il disco con la mia fisarmonica! Quello è stato il momento in cui mi sono vietato di escludere qualsiasi genere musicale. Tutto è diventato possibile. Il problema non era lo strumento ma, forse, il musicista, e spettava a me farlo funzionare, indipendentemente dal contesto musicale.

Sappiamo che hai composto perfino musica per i bambini. È forse la tua isola di Peter Pan? Quel rifugio ideale, di cui ogni artista ha bisogno di rifugiarsi?

Non so se sia collegato alla sindrome di Peter Pan, ma mia moglie, Serena Fisseau, che è una cantante, lavora molto con i bambini, e naturalmente me ne sono interessato anch’io. I miei standard come compositore rimangono gli stessi, sia che scriva per bambini o per adulti. È fondamentale non trattare i bambini come dei “sempliciotti”, ma piuttosto vederli come persone senza preconcetti, capaci di apprezzare qualsiasi tipo di musica!

Il tuo sodalizio con Émile Parisien, sembra una relazione molto stabile, avete fatto oltre mille concerti insieme. Ci spieghi il segreto di questa potente affinità elettiva?

In effetti, è una storia che dura e continua a crescere. La mia relazione con Émile è molto importante per entrambi. Siamo cresciuti musicalmente insieme, e c’è un enorme rispetto reciproco per la musica, che ci spinge ad andare avanti e non stancarci mai di suonare insieme!

Il tuo nome è legato sempre a quello di importanti musicisti. Sei stato a fianco di Michel Portal, Louis Sclavis e Michael Wollny. Di certo, ne varai subito l’influenza. Ritieni che anche loro abbiano preso qualcosa da te? In fondo, ogni collaborazione è uno scambio, un’osmosi.

Menzionerei anche Daniel Humair, Youn Sun Nah, Émile Parisien, Richard Bona e altri. Certo, mi hanno influenzato, e spero che lo scambio sia stato reciproco in queste collaborazioni! È, soprattutto, una connessione umana, con la musica che rappresenta un “bonus” per me!