Amo il Jazz, la musica classica, la musica brasiliana……..amo la MUSICA!!
Stefania Tallini è considerata una delle più interessanti pianiste, compositrici e arrangiatrici jazz italiane. Vanta una brillante carriera in ambito jazz e classico, con incursioni anche nel mondo della musica brasiliana, attraverso sinergie con grandi artisti del panorama mondiale, come:
Gregory Hutchinson, Jaques Morelenbaum, Gabriel Grossi, John Taylor, Stefano Di Battista, Gabriele Mirabassi, Dino & Franco Piana Ensemble, Roberto Gatto, Dario Deidda, Enrico Intra, Enrico Pieranunzi, Javier Girotto. Si è esibita in importantissime rassegne: San Francisco Yerba Buena Jazz Festival (Usa), Weltmusik Festival Grenzelos Murnau (Germania), Festival Felicja Blumental , Tel Aviv Museum, YVP Jazztage (Germania), Christoph Summer Festival di Vilnius (Lituania), oltre i più importanti festival Jazz italiani
Immagino che avrài iniziato a suonare da bambina, è stata una tua decisione quella di avvicinarti alla musica o sei stata incoraggiata da qualcuno. E come mai il pianoforte?
Sì, ho iniziato a 4 anni e mezzo, suonando a orecchio fino agli 8 anni, quando poi ho iniziato a studiare pianoforte classico. E’ stata una decisione assolutamente spontanea, nata nel momento in cui mi sono trovata per la prima volta, piccolissima appunto, davanti ad un pianoforte e mi è venuto istintivo e immediato cercare di riprodurre melodie che avevo sentito, cosa che mi riuscì molto facilmente. Poi la mia famiglia era piena di musica: mio padre suonava il violino, mia madre cantava musica lirica, mio fratello suonava la chitarra e anche gli altri fratelli suonavano a orecchio… insomma, la musica era il pane quotidiano a casa mia, quindi il mio incontro con il pianoforte è stato la cosa più naturale che mi potesse accadere. L’ho scelto perché ne sono stata immediatamente attratta, ne ho sentito il richiamo, il profumo del legno, l’aspetto, il suono avvolgente, il calore, la magnificenza.
Un’artista della tua caratura, che vive di musica e nella musica dalla mattina alla sera, tra concerti, soundcheck, spostamenti ed altre cose riesce ad avere una vita al di fuori di questo ambiente? Che ne so un hobby.
Certo, ce l’ho. Io pratico Tai-chi da 6 anni ed è una disciplina che amo moltissimo e mi fa stare bene. Poi in generale amo allenarmi tutti i giorni anche in altri tipi di sport, perché ne ho molto bisogno, mi dà la carica quotidiana e lo trovo molto salutare. Per conciliare questo con la mia vita professionale, mi sveglio prestissimo la mattina per poterlo fare, altrimenti mi sarebbe impossibile. Poi amo la lettura, anche se in certi periodi non riesco a dedicarmici come vorrei. E comunque cerco di non trascurare la mia vita privata, perché sì, il lavoro è importantissimo e per me non è un lavoro, ma è la vita stessa… però non è tutto, credo che la vita vera sia molto altro ancora.
Durante il lockdown si è fermato quasi tutto, in modo particolare l’ambiente musicale. L’unico contatto con il pubblico erano le dirette social o lo streaming, molti artisti lo hanno usato e il pubblico sembra abbia risposto abbastanza bene. Pensi che questo possa aver cambiato le abitudini della gente e in qualche modo abbia compromesso il mondo dei concerti live.
Non credo abbia cambiato le abitudini, al contrario penso che con le riaperture sia realmente esploso il desiderio delle persone, di tornare più spesso di prima ai concerti dal vivo, proprio in risposta alla “castrazione” provocata dagli streaming o le dirette social. Ma nel periodo del lockdown ho trovato molto utili certe cose, perché hanno permesso a noi musicisti di continuare il nostro rapporto col pubblico e al pubblico di continuare a seguirci nella nostra evoluzione artistica. L’importante è stato farlo nella convinzione che questo non fosse la sostituzione della musica dal vivo, ma solo una semplice parentesi che ha vestito la musica di un abito diverso, per un po’, per il tempo necessario.
Continuando a parlare del dopo pandemia, questa estate sono ripartiti Festival e manifestazioni musicali, di jazz in particolare. Per lavoro ne ho visti tanti e ho avuto l’impressione che ormai anche il più piccolo borgo si fa il suo festival del jazz o del Blues, con risultati non sempre positivi. Voglio essere più chiaro, a mio avviso il livello qualitativo si è abbassato. Vorrei sapere tu cosa ne pensi.
Questo non posso dirlo, perché non ho avuto le opportunità per constatarlo, avendo girato moltissimo per fare i miei concerti durante tutta l’estate. Però certamente la quantità eccessiva di spazi spesso non aiuta la selezione di una qualità nelle proposte artistiche e chissà, forse hai ragione tu.
Hai dichiarato più volte il tuo grande amore per la musica sudamericana e brasiliana, che si può tra l’altro ritrovare spesso nei tuoi lavori. Vuoi parlarci un po’ di questa tua passione.
E’ una passione nata ancor prima di quella per il jazz (scoppiata, questa, quando avevo 17 anni, dopo aver ascoltato un disco di Chet Baker), quando ancora adolescente ascoltavo i dischi in particolare di Tom Jobim e Vinicius De Moraes. Amavo la malinconia e la profondità di quella musica e mi ci tuffavo dentro con tutta me stessa. La cercavo, ne avevo bisogno e mi ha sempre accompagnato nella vita, a volte con più forza, altre volte con meno intensità. Nel 2008 ho registrato due dischi con il clarinettista Gabriele Mirabassi, il primo dei quali (Maresìa – AlfaMusic) aveva già un leggero respiro e un colore brasiliani. Lui era l’interprete perfetto per le musiche che avevo scritto per quel disco, essendo un profondo conoscitore della musica brasiliana. E proprio in quel periodo cominciò a parlarmi di tanti compositori che ancora non conoscevo… Così ho cominciato a cercare, ad approfondire, a studiare seriamente quel mondo anche in termini pianistici. Ma credo che anche il mio modo di comporre si sia nutrito moltissimo di quell’atmosfera, negli aspetti melodici e armonici. Negli ultimi anni mi è quindi capitato spesso di lavorare e registrare con musicisti brasiliani come Guinga, Roberto Taufic, Marcus Tardelli, Sergio Galvao; e recentemente anche Gabriel Grossi e Jaques Morelenbaum con i quali ho appena registrato il mio ultimo disco. Insomma, un profondo fil rouge mi lega da sempre al Brasile, che sento come la mia seconda patria, e non solo in senso artistico.
Da “addetta ai lavori”, cosa ne pensi del momento attuale della musica e del jazz in particolare. Hai qualche tua “ricetta” o idea per poter aiutare questo settore molto importante del paese?
Credo che ci sia una grande rinascita del jazz in particolare negli ultimi tempi, forse proprio dovuta al post-pandemia; questo stare continuamente e forzatamente in contatto con il mondo attraverso il web, a causa dei vari lockdown, penso abbia in realtà anche favorito una maggiore diffusione, un maggiore scambio, una maggiore fruizione di musica al livello universale. E chi è in cerca di bellezza non può non soffermarsi su ciò che il jazz è, su ciò che la musica è! Me ne sono resa conto durante il tour estivo, nel vedere sempre un’enormità di pubblico a tutti i concerti. Anche con tante persone non legate al jazz in alcun modo, ma che da poco stavano scoprendo quel mondo. Questo lo trovo molto bello. Ma proprio per questo posso dire che forse si dovrebbe fare di più per questa musica che è piena di una immensa vitalità ed è capace di coinvolgere e unire le persone, senza alcun tipo di barriere e confini. E per questo vorrei vedere le istituzioni molto più presenti nel cercare di favorire questo mondo musicale, non solo per il valore artistico che esso ha in sé, ma anche per sviluppare tutto l’indotto che questa musica è capace di generare anche in termini economici, se proprio vogliamo scendere ad un livello più materiale. Ricette non ne ho, ma una certezza sì: noi artisti dobbiamo continuare a cercare di realizzare i nostri progetti, al di là di tutto e con tutta l’onestà e la sincerità artistica che possiamo. Solo questo può dare frutti concreti affinché chi normalmente ignora la meraviglia della musica, possa forse aprire gli occhi e le orecchie, soprattutto, per poter agire in favore di essa.
Hai lavorato e fatto concerti in tanti luoghi del mondo, tra cui naturalmente in Germania e in America. Puoi raccontarci dove hai suonato e le tue esperienze in questi due paesi.
Alla Germania sono legata particolarmente, perché i miei primi due dischi li ho registrati per un grande produttore tedesco, York Von Prittwiz, della Yvp Records. Per cui ho avuto modo di fare alcuni tour che comprendevano concerti e anche live presso importanti radio nazionali. Furono esperienze stupende per me. Il pubblico tedesco è un ottimo pubblico: preparato, colto, attento ed è un piacere suonare per loro. Tra l’altro mi colpì molto la folta presenza anche di giovanissimi ragazzi e di bambini chiaramente abituati ed educati alla grande musica e che quindi si ponevano difronte al jazz con un atteggiamento di notevole curiosità e rispetto. Stessa cosa posso dire per l’America. In California per qualche anno sono andata in un Campus dedicato alla musica brasiliana e ho avuto la possibilità di lavorare con grandi musicisti che venivano dal Brasile. Poi ho fatto concerti a San Francisco, a Berkley, a Seattle, a Washington, e anche in quei casi, oltre ai concerti, sono stata coinvolta in trasmissioni radiofoniche live presso radio nazionali. Pubblico meraviglioso, vitale e molto caloroso! In generale è bellissimo per me poter portare la mia musica in luoghi lontani e sconosciuti, in mondi apparentemente diversi, ma che attraverso la comunicazione musicale si ritrovano uguali.
Sono passati quasi due anni dall’uscita del tuo ultimo lavoro: “Uneven”, che cosa ci puoi dire del tuo prossimo progetto musicale e dei tuoi progetti futuri in generale?
Sì, Uneven, registrato con Matteo Bortone al contrabbasso e il grandissimo Gregory Hutchinson alla batteria, che tra l’altro è stato un disco un po’ sfortunato, perché uscito proprio un mese prima del lockdown, così come tante produzioni che sono rimaste soffocate dagli eventi legati al Covid.
Ma la vita e la musica vanno avanti e allora in questo periodo di ripresa ho registrato tre dischi: il primo, REFLECTIONS, con il Dino & Franco Piana Ensemble, appena pubblicato da AlfaMusic. Il secondo registrato con Franco Piana al flicorno, (un progetto nato a maggio scorso e che abbiamo presentato in moltissimi concerti estivi e non solo) disco che ancora non ha un titolo, e che uscirà l’anno prossimo sempre per AlfaMusic. Il terzo, s’intitola BRASITA, che ho appena finito di registrare insieme a due grandissimi musicisti brasiliani: l’armonicista Gabriel Grossi e il violoncellista Jaques Morelenbaum. Con Gabriel ho un duo da oltre un paio di anni e finalmente siamo approdati al nostro primo disco insieme (rimandato due volte per via del Covid), per il quale abbiamo pensato di invitare quel grandissimo artista che è Jaques. Un album che contiene nostre composizioni e nostri arrangiamenti di brani di alcuni compositori classici, rielaborati nel nostro linguaggio italo-brasiliano, senza barriere di nessun tipo, caratteristico di questo progetto di imminente uscita.
Insomma, mi piace ogni volta ricominciare da zero con ogni nuova produzione, come fosse la prima volta… e questo mi emoziona sempre e sento che fa bene alla mia musica. Ho registrato 13 dischi, 11 dei quali con la mia amata etichetta AlfaMusic e so che ogni progetto che chiudo è uno stimolo per pensarne altri, come se ognuno di essi fosse il nutrimento per il successivo.
E’ così che mi piace vivere la musica!
Danilo Bazzucchi