Si fa conoscere al grande pubblico nel 2015, grazie alla partecipazione a Sanremo con il suo brano “Galleggiare”. Il fascino della sua voce e della sua straripante personalità artistica colpiscono molti addetti ai lavori e gli fruttano palcoscenici importanti, tour con il Volo, Mario Biondi e partecipazioni a prestigiose trasmissioni televisive. Cantante, pianista e percussionista, Serena Brancale nei suoi concerti delizia gli spettatori suonando tastiere e pad elettronici, incantando il suo pubblico con momenti di “in solo” originali dal carattere intimo e confidenziale. E’ appena uscito il suo terzo album “Je So Accussì”, che lei definisce “quello in cui ho trovato la mia vera identità”.
Ho ascoltato il tuo nuovo album appena uscito “Je So Accussì”, il terzo fin qui della tua carriera. Credo di poter dire che è un lavoro che si distingue molto dai primi due, un album che sembra dare le sensazione di una raggiunta maturità artistica.
Assolutamente sì, e non solo per l’età anagrafica ma perché adesso mi sento più sicura della musica che faccio oggi. Prima avevo paura ad entrare in dinamiche pop o soul, perché in Italia ti costringono ad etichettarti, dicendoti che fai? Cosa sei? Dove canti? Di che genere fai parte? Questo almeno all’inizio per me è stato un problema serio, perché rifiutavo delle soluzioni più pop. Invece con questo album ho sposato l’idea di essere quella che sono: “Je so accussì”, proprio come il titolo dell’album. Sono un ibrido tra tutto, che è anche un genere perché io non mi sento solo una jazzista, a me piace la musica latino-americana, il soul, il funk etc. Quindi è sicuramente un album più maturo per vari aspetti, uno di questi, il più importante, è aver trovato la mia vera identità, che è Serena Brancale e non solo una cantante jazz, ma un’artista a cui piace spaziare in tutti i generi musicali e che non vuole essere incasellata.
Questo tuo ultimo lavoro contiene tre brani di Pino Daniele, più le collaborazioni di Margherita Vicario, Rochelle, Davide Shorty, Ghemon, Richard Bona e Fabrizio Bosso. E’ un album molto complesso, oltre che molto bello. Quanto tempo hai impiegato per realizzarlo? E quanto è importante per te Pino Daniele.
Ho dedicato a questo album tantissimo tempo, tre anni, considerando anche il periodo della pandemia. Ma meno male, perché ho avuto il coraggio per la prima volta di espormi e di proporre collaborazioni importantissime, tra cui quella con Richard Bona. Io ho sempre studiato i suoni di Richard, perché è stato il primo ad utilizzare la loop, per me era un mito, un santo, intoccabile. Poi ho preso coraggio ed ho capito che dovevo espormi in prima persona, dopo mi sono resa conto che tutti gli ospiti di “Je So Accussì” nutrivano una profonda stima nei miei confronti. Quindi questo è proprio l’album del coraggio e della presa di coscienza. Per quanto riguarda Pino Daniele, anche lui per me è stato molto importante, perché è stato tra i primi a cantare in dialetto e quindi mi sono detta che anch’io nel mio piccolo, dovevo provare a fare altrettanto. E devo dire che quando anch’io canto in dialetto, nei miei concerti, è proprio il momento più cool. Mi è successo di cantare “Sta Uagnedd” in America, a Bali o Jakarta, ed è la cosa che piace di più, perché ti spogli dal tutto e canti col suono della tua terra. E questo lo devo in parte a Pino Daniele, perché è stato lui a darmi il coraggio a provare e rischiare.
Hai iniziato studiando musica classica, dopo sei passata al Jazz. Nella scelta di fare musica, quanto ha pesato il fatto che provieni da una famiglia di musicisti?
Nella mia scelta è stata fondamentale mia madre, che era una cantante e faceva parte di un coro barocco. Mia sorella l’ha indirizzata verso il pianoforte, mentre io ho fatto violino, mio padre invece è un ex calciatore. L’artista era mia madre che cantava, dipingeva e aveva una scuola di musica, dove praticamente io sono cresciuta e quindi posso dire che per me è stata lei che mi ha aiutato a scoprire il mio lato artistico.
I tuoi colleghi che hanno collaborato in questo album e che ho descritto sopra, sono molto diversi da te, anche nel genere musicale. Come mai la scelta è caduta su di loro, hai usato un criterio particolare ed è vero che l’hai contattati sui social.
Si è vero, con Richard Bona per quattro anni ho avuto contatti solo su Facebook e Instagram, grazie anche al fatto che eravamo insieme nello stesso programma del Blue Note. Lui scrisse una cosa molto bella su un mio video live e da lì siamo diventati amici, poi su Instagram ci siamo scambiati e-mail e numeri di telefono e abbiamo iniziato a sentirci e così ho potuto proporgli direttamente questa collaborazione. Stessa cosa con Ghemon (anche se lui vive a Milano) e Margherita Vicario, intanto abbiamo molti amici in comune poi abbiamo avuto la possibilità, grazie a Instagram, di sentirci, ascoltarci a vicenda e quindi le collaborazioni sono nate sulla base della stima. Non è stata una cosa costruita da altri, sono stata io a proporre a tutti di collaborare, poi loro naturalmente hanno parlato ognuno con il proprio management, che ha accettato.
Sei conosciuta e hai fatto concerti in tante nazioni del mondo, compresa l’America. Mi racconti qualcosa della tua esperienza americana?
Ho cantato all’Istituto Italiano di Cultura a New York e devo dire che mi sono sentita come a casa perché c’erano tantissimi pugliesi. Ho iniziando cantando canzoni del repertorio pop italiano, dopodiché mi sono messa al piano e ho cantato “Galleggiare”, il brano con cui sono stata a Sanremo e che conoscevano bene, perché l’hanno cantato insieme a me. Poi ho fatto “Sta Uagnedd”, in dialetto barese e lì sono impazziti tutti.
Posso chiederti se hai un hobby, una passione, al di fuori della musica? O magari non hai tempo per qualcosa che ti piacerebbe fare. Durante il lockdown, come ti sei organizzata? Tra i tuoi colleghi c’è chi ha scritto canzoni, chi ha studiato e chi è andato in depressione.
Io posso dirti che per me, paradossalmente, il lockdown è stato un bel periodo. Perché sono stata a casa con la mia famiglia, mangiavo bene, facevo tanto sport, ho potuto finalmente guardare dei programmi e dei film che non avevo mai avuto il tempo di vedere. Poi certo ho scritto anche canzoni e suonato il pianoforte, ma ripeto per me è stato un bel periodo. Più che hobby a me piace studiare, imparare i pezzi, essere attiva sui social; c’è una cosa che vorrei fare e invece non sto facendo: ballare. Mi piacerebbe fare hip hop, balli caraibici, anche perché mia madre ha origini venezuelane ed abbiamo sempre ballato salsa.
Naturalmente adesso ti starai occupando della promozione dell’album e del Tour di concerti immagino, ma se ti chiedo quali progetti hai per il futuro che mi rispondi?
A me piacerebbe fare il prossimo album tutto in dialetto barese, fare questa opera di coraggio di scrivere tutte le nuove canzoni nel dialetto della mia terra; mi piacciono molto anche le percussioni e quindi fare un album folkloristico, dove ci sono tutti strumenti acustici e per un po’ lasciar perdere l’elettronica. Poi stiamo lavorando per fare un tour con un calendario molto bello di date per concerti e festival in Italia, mentre per quanto riguarda l’estero spero che si chiudano delle date a cui stiamo lavorando.
Danilo Bazzucchi