Conoscendo il precedente album di Luca Di Luzio, «Globetrotter» uscito nel 2019, il nuovo «Never Give Up», edito dalla Jazzlife Records, non sorprende più di tanto, ma ciò che impressiona l’ascoltatore, già al primo impatto con la musica del chitarrista pugliese, è la sua capacita di uniformare una materia complessa attraverso un preciso marchio di fabbrica.
Di Luzio spazia agilmente dalle sonorità latine al funk, passando per la fusion-jazz più archetipale ed il blues ed usando indistintamente, ed a seconda delle necessità della partitura o del genere trattato, sia la chitarra elettrica che acustica. Nell’affollato panorama discografico post-pandemia, in cui la discografia ha tracimato portando a valle di tutto e di più, un disco come «Never Give Up» di Luca Di Luzio, svetta al di sopra della media senza difficoltà alcuna, sia per potenza espressiva che esecutiva, ma soprattutto per l’alto livello qualitativo delle maestranze impiegate, che danno immediatamente al parenchima sonoro del disco un taglio ed una dimensione sovranazionale, ad iniziare dalla produzione di George Whitty, già arrangiatore e producer di artisti del calibro di Brecker Bros, Santana, Dave Mattews, Chaka Khan, Herbie Hancock, solo per citarne alcuni, ma soprattutto Luca di Luzio guida un line-up stellare composto da Randy Brecker alla tromba, Alain Caron al basso elettrico (Uzeb, Mike Stern, Gino Vannelli) Rodney Holmes alla batteria (Joe Zawinul, Wayne Shorter, Santana) e lo stesso George Whitty alle tastiere.
Tutto ciò conferisce all’album un sapore extra-territoriale. Siamo di fronte ad un progetto fusion-jazz strutturato ed eseguito secondo le regole d’ingaggio tipiche dell’alta scuola americana. In una blind audition, difficilmente, si direbbe che sia il lavoro di un autore italiano. Luca Di Luzio ha composto nove brani originali (che danno anima e corpo all’album), i quali sono stati pensati per un quintetto, con l’aggiunta di una sezione fiati composta da due sassofoni, Luca Quadrelli e Manuel Trabucco rispettivamente tenore e contralto, Massimo Morganti, forse il miglior trombonista italiano su piazza, e Andrea Guerrini alla tromba.
Va da sé, che l’apporto della compagine internazionale e gli stessi arrangiamenti di Witty risultano fondamentali per la caratterizzazione del concept, ma Di Luzio, in fase creativa, non commette l’errore di abbandonarsi ai languori italioti o al melodismo localistico, piuttosto le sue composizioni hanno una struttura-ritmico armonica predisposta al jazz elettrico, lineare e imperniato su groove solidi e accattivanti, Specie nelle sequenze più funkified si ha come l’idea di percepire il battito delle grandi metropoli statunitensi. «Never Give Up» diventa così una sorta di festival dei due mondi della fusion-jazz, dove un impianto melodico di tipo mediterraneo, appena accennato e non debordante, sposa il mood tipico delle sonorità americane black-oriented. L’equilibrio è tale che tutto il disco diventi fruibile dalla prima all’ultima nota, denotando molti passi in avanti ed un’evoluzione verso un modulo allargato ed universale, che poi è lo specchio fedele di tutto il curriculum artistico del chitarrista-leader, il quale ha sempre guardato al mondo a stelle e strisce, quale contenitore di stimoli creativi e non al ristretto ambito nazionale.
Le intenzioni sono alquanto chiare appena partono le prime battute di «Second Life» che apre l’album con un raffinato mid-range dai contrafforti funkiness, ricamato, nell’abbrivio, da una tromba in sordina, che lascia subito spazio alla sezione fiati, la quale spiana il terreno alla chitarra di Di Luzio intenta a disegnare una melodia a presa rapida e con molte variazioni tematica, mentre il ritorno in scena della tromba alimenta il lirismo e la forza perforante della composizione. «Fishing In Paradise» si sostanzia come una perfetta composizione jazz-fusion imparentata con un ritmica dall’andamento latino, dove la tromba e la chitarra, alternandosi in prima fila, ne magnificano il costrutto melodico, mentre tutto il resto dell’ensemble ne sostiene umori e stati d’animo. La title-track», «Never Give Up» scorre come la colonna sonora di un film ambientato tra California e Mid-West, e mentre i fiati e la retroguardia ritmica fanno da indicatori di marcia, dalla chitarra di Di Luzio esce fuori tutta la sua anima blues; per contro l’arrivo della tromba di Randy Brecker riporta il convoglio in una dimensione decisamente più jazz. «Verso Sera» è una ballata per chitarra, calata in dimensione crepuscolare e sospesa, con i fiati che puntellano la melodia, quindi l’arrivo della tromba che aggiunge ancora più pathos con inserti brevi e calibrati in odor di Miles Davis.
«The Genius» è un costrutto spalmato su un groove molto R&B: l’uso dei fiati che tracciano le coordinate della melodia e la presenza di un piano elettrico, lasciano presagire che il «genio», sia proprio Ray Charles. «Lauderdale», quasi un modello archetipale di jazz-fusion, di cui contiene tutti gli elementi basilari, potrebbe rimandare tranquillamente ai Weather Report o ad altri prototipi degli anni Settanta; la conferma è data dall’assolo centrale del sassofono di shorteriana memoria. «Shortcut» gioca sul medesimo terreno della traccia precedente, ma qui è la chitarra a dettare legge e, forse il pensiero corre verso alcuni lavori fusion di George Benson o Earl Klugh. Chitarra e basso si scambia promesse per l’eternità, mentre la tromba compare quasi sul finale, per consegnare nuovamente alla chitarra le chiavi di casa, fino alla chiusura. «Jimmy V» strizza l’occhio ad un rock dinamico e viaggevole da Route 66, implementato da una chitarra più asciutta e tagliente, mentre la sezione ritmica ingrossa le acque ed il piano elettrico di Whitty prende il sopravvento per dare man forte ai propositi del chitarrista leader. Dalla strada madre (così è chiamata in USA la R66) si passa alla «A14», la vera autostrada italiana che collega idealmente America e Italia attraverso il sound di Luca Di Luzio e compagni. Il viaggio ideale sulle strade infuocate di «Never Give Up» si è appena concluso, ma la voglia di ripartire è tanta: risulta difficile resistere alla tentazione di pigiare di nuovo il tasto play to start del lettore CD!
Francesco Cataldo Verrina