Venerdì 25 ottobre 2024, coinvolgente serata allo Stix Music Club, in un’atmosfera rilassata ed amicale, con la Perugia Big Band, diretta da Massimo Morganti. Un nutrito ensemble intergenerazionale di musicisti di vaglia, formato da diciassette elementi, tra cui svettano alcune eccellenze solistiche, quali Lorenzo Bisogno sax tenore e Riccardo Catria tromba e flicorno, o un veterano come il contraltista Roberto Mommi, i quali frequentano assiduamente le mensili jam session dello Stix Club di Perugia. Tutti gli strumentisti meritano comunque un encomio solenne ed in particolare i due cantanti: Silva Pierucci e Davide Tassi, protagonisti dell’ultimo lavoro discografico dell’ensemble pubblicato in occasione dei 50 di attività dell’orchestra e dedicato alle belle melodie italiane, «Playing The Italian SongBook», dieci piccole chicche provenienti dal libro dei sogni della canzone pop ed autorale made in Italy. Dopo il concerto, abbiamo scambiato due battute con il direttore Massimo Morganti.

Trombonista, compositore, arrangiatore e conductor. In poche parole, chi è veramente Massimo Morganti?

Beh, al momento un trombonista che compone.

In realtà, tu cominci con il trombone, strumento storico nella tradizione jazzistica sia orchestrale che all’interno dei piccoli combo bebop, quindi arrivi alla direzione d’orchestra. Le due attività sono state contestuali, oppure l’interesse per la direzione è successivo?

No, diciamo che è successivo. È arrivato dopo aver ascoltato un po’ di big band in giro. Ero ancora un ragazzino, quando il mio maestro mi portava a vedere qualche concerto. Già allora rimanevo estasiato da questa massa di suono che mi sembrava una cosa magica. Poi da lì studio e ricerca, ma la scintilla era scattata a un concerto, durante l’adolescenza.

Prima di iniziare il concerto, hai fatto una battuta: siamo qui al Village Vanguard…perché poi lo Stix Music Club ha questo nero-rosso che richiama molto il Village, dove all’inizio c’era solo un microfono, situazione complicata per una big band. Al netto delle battute, quanto è importante avere il pubblico addosso con la calda atmosfera del club e non il teatro, la piazza o l’auditorium che mettono una certa distanza?

È bellissimo, è una sensazione unica, come ho detto prima, però capisco che sia difficile portare un’orchestra in un piccolo club. Ci sono poche occasioni, ma ti danno veramente quel feeling che ti resta addosso per giorni. Che poi il pubblico nel jazz è quello che ti dà la spinta.

Massimo Morganti, musicista eclettico che spazia fra jazz e influenze eurodotte, ma poi c’è anche un Morganti che ama l’Italian Songbook, per capirci il pop cantautorale di casa nostra et similia rielaborato in chiave jazzistica. Non trovi che l’italian songbook e le belle melodie italiche, nel tempo, siano state trascurate dai jazzisti?

Ti do assolutamente ragione, è completamente vero, chiaramente ci sono autori anche in Italia che si prestano di più. Noi, per esempio, abbiamo trattato Luigi Tenco, Gino Paoli ed altri, i quali si sono sempre sentiti affascinati dal jazz. Però in Italia c’è davvero tantissima bella musica che potrebbe essere elaborate in chiave jazz e adattata a una big band.

Nel vostro CD avete toccato il meglio della canzone italiana da Lucio Dalla a Mina, da De Andrè alla Vanoni, Da Vasco Rossi a Sergio Endrigo, da Zucchero a Pino Daniele, passando per Battisti, perfino «C’è più samba» di Chico Buarrque De Hollanda, cantata da Mina con il testo di Bruno Lauzi. Come nasce l’idea di fare un disco «tutto italiano»?

Intanto perché Fabrizio Rapastella, che è il coordinatore dell’orchestra, da lungo tempo sognava un’operazione del genere ed avvicinare questo repertorio. Non è stato semplice perché il materiale a disposizione era tantissimo, quindi abbiamo evitato di prendere i soliti nomi e le solite canzoni. Per esempio, Zucchero o Vasco Rossi, si sono sentiti poco in ambito jazzistico.

Dal punto di vista del trattamento, è più complicato lavorare con le melodie e le canzoni italiane o con quelle dei classici americani? È stato difficile adattare questi brani allo stile della vostra big band?

No assolutamente, è stato piuttosto stimolante. Poi, io cerco la mia chiave interpretativa, però preferisco anche non estremizzare troppo snaturando i brani cantati. Ho voluto lasciare la canzone e l’impalcatura melodica per com’era, lavorando sul colore.

Questa è una domanda di rito. Come vedi la situazione del jazz in Italia?

Personalmente benissimo, sarà che sono molto coinvolto a livello di didattica, ma ci sono tantissimi giovani interessati allo studio del jazz. Sono consapevole che ci siano delle difficoltà, anche nell’organizzazione di festival ed eventi, però fortunatamente ce ne sono tanti, specie negli ultimi anni. Il jazz vive le medesime situazioni, non sempre facili, della lirica o della classica, del cinema e del teatro, ma forse della musica e dell’arte in genere, in Italia.

In chiusura, e con tutta sincerità, come è andata la serata allo Stix Music Club?

Stupenda! Speriamo di ripeterla al più presto. Un’atmosfera che a noi mancava tantissimo, pubblico caldissimo e un trattamento dal punto di vista sonoro altamente professionale.

Davvero per chiudere: un’orchestra di 17 elementi, numero particolare: porta fortuna o sfortuna?

Fortunatissimo!