A 10 anni esatti dall’uscita dell’album Non gioco più, dove rivisitava con la sua personale interpretazione i brani resi celebri da Mina, Greta Panettieri è tornata a cimentarsi in una nuova e importante rielaborazione. Con “Fly me to Sinatra”, il suo 9° album uscito da poco, conferisce nuove atmosfere ai brani più noti e anche ai capolavori meno conosciuti di The Voice. L’album dedicato a frank Sinatra è anche il frutto della sua partecipazione come relatrice a due convegni internazionali di musicologia presso l’Università IULM e al lungo lavoro per il suo secondo libro in cui analizza la struttura musicale di incisioni celebri del songbook jazz e pop americano.
È stato difficile trovare una formula al femminile che si adattasse al modulo espressivo di Frank Sinatra?
In effetti no, come dico sempre il mio è un omaggio artistico e non stilistico. Sinatra aveva un modo unico di esprimersi attraverso le canzoni. Per una voce maschile, c’è il rischio ancora maggiore di cadere nella tentazione di imitare il suo stile, le sue cadenze o il suo timbro, io ho preferito costruire un approccio più personale, ho studiato a fondo l’essenza del suo fraseggio, e il suo modo di entrare dentro i brani; ho cercato di imparare da lui proprio come fosse il mio maestro di canto, questo mi ha molto ispirato e lasciato piena libertà di espressione.
Hai avuto un minimo di titubanza, almeno all’inizio, nel misurarti con un personaggio che per le sue peculiarità, viene indicato come “The Voice”?
Frank Sinatra è un’icona che va oltre la musica: è una leggenda, un simbolo di eleganza, tecnica vocale e carisma. C’è sempre un grande rispetto da parte mia quando mi approccio a questo tipo di tributi, un grande senso di responsabilità nell’interpretare un repertorio storico, ma al tempo stesso è proprio questo il motivo della scelta: confrontarmi con Sinatra mi ha spinto a dare il massimo per capire in che modo avrei potuto reinterpretarlo, ovviamente a modo mio. Sembrerò sfacciata, ma quando si tratta di cantare, la titubanza è l’ultimo dei miei sentimenti.
Ritieni che Frank Sinatra abbia ancora un’attualità nel terzo millennio?
Decisamente. La sua capacità di raccontare emozioni senza tempo lo rende universale. I sentimenti, le storie e le atmosfere che ha interpretato parlano ancora a tutti, indipendentemente dall’epoca. Sinatra è il ponte tra tradizione e modernità, è sempre stato un grande innovatore e la sua legacy ha influenzato tutta la musica moderna e contemporanea, a partire dal look, ancora oggi modello da imitare, al modo di porsi. E’ stato un grande innovatore, ha avvicinato il cantante all’ascoltatore con l’intimità, e sdoganato il senso della fragilità anche per gli interpreti uomini, che fino a quel momento potevano solo esprimere sentimenti più superficiali. Sinatra nonostante il suo personaggio di uomo affascinante, di macho italiano così nella musica così nel cinema e negli affari, fa un’ incredibile rivoluzione, permette all’uomo di mostrare la sua fragilità la sua vulnerabilità e così facendo fa impazzire milioni di fan. Non è freddo e irraggiungibile come il divo Crosby, Sinatra ha dei veri sentimenti e non ha paura di mostrarli.
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In fase di preparazione, hai ascoltato altri artisti che in passato hanno tentato una reinterpretazione di Frank Sinatra? Ce ne sono un’infinità. Hai mai sentito, ad esempio, la versione che gli U2 hanno fatto di “Night And Day” o “My Way” cantata da Elvis Presley?
Assolutamente, sai che anche una parte del mio lavoro è dedicata alla musicologia, ho scritto un saggio “ La voce nel jazz e nel pop, guida discografica a 100 canzoni imperdibili”, libro da cui in effetti è partito anche questo progetto su Sinatra, e ho condotto vari programmi radiofonici per cui è necessario ascoltare tantissima musica; la ricerca è una componente fondamentale in questo tipo di operazioni se si vuole essere anche un minimo originali. La versione degli U2 di “Night And Day” è un esperimento interessante, anche se ormai datato a livello di suoni e arrangiamento ma ricordo che quando uscì nel 1990 fu un successo, mentre “My Way” di Elvis ha una potenza emotiva unica. Tuttavia, cerco di non farmi influenzare troppo, cerco sempre di mantenere la mia cifra stilistica.
Quale criterio hai usato per scegliere le canzoni, tenendo conto della vastità del catalogo a disposizione?
Ho scelto i brani che sentivo più vicini a me, sia emotivamente che musicalmente. Ovviamente ci sono alcuni classici “obbligatori”, ma ho voluto anche includere composizioni che potessero raccontare un lato diverso di Sinatra, magari meno conosciuto, ma altrettanto affascinante, come “The song of the sabbia”,capolavoro di Jobim e Buarque, e “One for my baby” di Harold Arlen e Johnny Mercer .
Quanto ti ha aiutato la band di supporto a valicare quella sottile linea di confine che potrebbe esserci tra la vera interpretazione e la reinvenzione di taluni standard ed il coverismo calligrafo al limite del Karaoke?
La band è stata fondamentale. Ogni musicista ha dato il suo contributo per creare arrangiamenti interessanti, che ci permettessero di esprimere il nostro carattere di improvvisatori ma con un tocco moderno, nonostante l’impianto sonoro acustico piuttosto classico. È grazie a loro che siamo riusciti a rendere queste canzoni vive e autentiche, evitando qualsiasi banalizzazione.
Per quei pochi che non ti conoscono, chi è oggi Greta Panettieri, una cantante prestata al jazz o una jazzista che canta?
Direi che sono una cantante con una personalità piuttosto indipendente non credo sia il genere musicale a definirmi, almeno lo spero… Il jazz è la mia casa, ma amo spaziare tra generi diversi, l’essere cresciuta artisticamente a NY mi ha permesso di conoscere e lavorare in tantissimi contesti musicali diversi, questo mi ha insegnato a trovare la mia voce a prescindere, le persone mi ingaggiavano per il mio modo di cantare e per la mia voce. Non mi piace etichettarmi troppo: mi piace usare la voce anche come uno strumento, seguendo ciò che mi ispira e mi emoziona in modo piuttosto fisiologico e spontaneo.
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Sinatra è stato un personaggio complesso sia come uomo che come artista. Esiste un Frank crooner e piacione e poi un Sinatra più vicino al jazz, diciamo più swing. Quale dei due preferisci?
Entrambi! Il crooner più affascinante e romantico è irresistibile, ma il Sinatra swing è pura elettricità. Se dovessi scegliere, forse propendo per il secondo, perché il suo senso del ritmo e dello swing è qualcosa di unico e contagioso, ma per fortuna non devo.
Come consideri Frank Sinatra rispetto alla vera tradizione del jazz-cantato, ossia quella legata al jazz afro-americano, soprattutto le grandi voci “nere”?
Ovviamente, le radici del jazz vocale affondano nella tradizione afro-americana, ma sai a quei tempi c’era una grande osmosi tra jazz e popular music. Le grandi orchestre swing erano un po’ un ponte tra questi mondi e contribuivano a rendere estremamente famosi alcuni interpreti e alcuni brani ma erano tempi di grande fermento musicale e chi voleva emergere, come Sinatra, riusciva a carpire i segreti del mestiere anche con un ascolto. Sinatra stesso dichiarò che la sua più grande insegnante di canto fosse stata Billie Holiday, la ascoltò dal vivo per la prima volta alla fine degli anni Trenta e divenne subito un suo devoto. Nel 1944, Holiday disse all’editorialista Earl Wilson di aver offerto a Sinatra consigli sul suo canto. ”Gli ho detto che sul finire di alcune note poteva piegarle. … Piegare quelle note: questo è tutto ciò in cui ho aiutato Frankie.” Con grande umiltà e modestia la diva sminuiva il suo ruolo di “insegnante” di Sinatra ma non lui che l’ha sempre citata. Non dimentichiamo poi il forte legame artistico che aveva con Quincy jones e l’assoluta riverenza per Ella Fitzgerald.
Pensi che, soprattutto i giovani, quelli che ti seguono, dopo aver ascoltato il tuo disco, che contiene solo un florilegio della sua interminabile discografia, vadano ad approfondire la storia e le canzoni di Sinatra?
Me lo auguro. La mia intenzione è proprio quella di accendere una scintilla, di incuriosire. Se anche solo un giovane scopre Sinatra grazie al mio disco, sento di aver fatto qualcosa di significativo.
Come vedi il futuro del jazz in genere e, soprattutto, del jazz cantato?
In continua evoluzione, il jazz, per sua natura, è una musica che si nutre di contaminazioni e si trasforma costantemente. Ormai è un modo di approcciarsi alla musica, più che un genere definito, che permette agli artisti di dialogare attraverso culture, stili e generi diversi. La sua essenza, radicata nell’improvvisazione, nel ritmo e nella libertà espressiva, non passerà mai di moda, avremo sempre bisogno di essere creativi e di sfogarci in qualche modo, credo che queste caratteristiche lo rende sempre attuale, in un certo senso salvaguardandone la sopravvivenza.