“Sono stato cresciuto a Rhithm and Blues e musica Black, ascoltando Lionel Richie e Stevie Wonder. Ho avuto anche la fortuna di vedere un concerto di Michael Jackson”……….
Una bella chiacchierata con l’attore che, in “Rocco Schiavone” una coproduzione Rai Fiction, Cross Productions e Beta Film, per la regia di Simone Spada, interpreta il poliziotto Mimmo D’Intino, croce e delizia del vice-questore romano
Vorrei iniziare parlando della sua adolescenza e della scuola, so che ha fatto il liceo classico e poi per un periodo anche l’università. Quand’è che ha capito o che ha deciso che il suo futuro sarebbe stato salire su un palco o davanti a una macchina da presa e recitare.
Ma come tanti ragazzi appartenente al ceto medio borghese ero schiavo di un condizionamento che era liceo classico, giurisprudenza. In quegli anni era una specie di percorso obbligato da parte di un certo tipo di gioventù, magari non molto nutrita culturalmente. L’istinto attoriale c’è sempre stato sin da bambino, mi ricordo che durante la messa, invidiavo il prete che era sull’altare e quindi al centro dell’attenzione ed io invece dovevo stare relegato seduto su una panca. Verga dice che “chi nasce pesce il mare lo chiama”. Il mare mi ha sempre chiamato, all’inizio questo messaggio non lo sentivo chiaramente, poi però la corrente a forza di spingere ha rotto gli argini. A dire il vero sono stati proprio i miei genitori a dirmi: guarda Christian che se tu non ci provi (io avevo già 24 anni), a 40 vai in depressione. Tra l’altro io nasco danzatore, la mia compagna di banco, Petra Bonaventura, della quale ero segretamente innamorato, un giorno mi disse: “sai io vado a danza”, Noo!! anch’io risposi (mentendo). Allora mi iscrissi a danza ad un corso di Bill Elliot.
Quindi a 24 anni mi sono trasferito a Roma, pensando:” faccio 100 audizioni e se non mi prendono torno a casa”. Invece alla prima mi hanno preso.
Nelle sue scelte ha influito anche la sua famiglia? Voglio dire una volta che hanno saputo la sua decisione, l’hanno supportato o magari l’hanno contrastato indirizzandolo verso professioni più “istituzionali”. Ha fatto scuole di teatro o recitazione?
I mii genitori avevano un negozio di abbigliamento, e hanno avuto la forza di non farmi mai lavorare un giorno in quello che mio padre chiamava “la mia prigione”. Il loro istinto borghese era quello di farmi fare il salto di classe, però era talmente forte questa spinta, da parte mia, verso il lato artistico, che ad un certo punto si sono resi conto che io mi stavo intristendo, e quindi sono stati loro stessi a spingermi a provare. Questo è anche un messaggio che vorrei lanciare ai tanti genitori che ci sono: “meglio un figlio felice che un genitore contento”. Quando arrivai a Roma era mia intenzione fare una scuola di recitazione, andai alla Pietro Sharov, e mi presero subito. Purtroppo o per fortuna, una settimana dopo essere arrivato a Roma iniziai a lavorare con la compagnia dell’Arancia, a quei tempi le tournee erano lunghe e stavo fuori otto mesi all’anno e quindi non potei frequentarla. Dopo, siccome volevo recitare, ho abbandonato il Musical e fortunatamente ho incontrato Gigi Proietti e Gianluca Guidi che mi hanno preso in uno spettacolo che era Taxi a due piazze, con la regia di Proietti e li ho fatto veramente la gavetta delle tavole del palcoscenico. Quando poi, per un caso della vita, sono riuscito a passare dal teatro alla macchina da presa ho incominciato ad avere più tempo per me, e ha quel punto sono tornato a quello che era il mio desiderio: fare una scuola di recitazione e sono andato alla Duse International di Francesca De Sapio, nella quale ancora, dopo undici anni, vado tre volte alla settimana ad allenarmi.
Lei passa tranquillamente dal fare teatro al cinema, per fare poi fiction, ma é anche sceneggiatore e regista. Può spiegare come riesce a fare tutto ciò, non ha paura si confondano i ruoli? E in quale di questi generi si trova più a suo agio?
Si è vero, in Italia è un problema confondere i ruoli effettivamente. Una volta Massimo Ghini mi disse: Christian il nostro mestiere è un libro e ogni pagina è una cosa che noi possiamo fare. Una pagina è il cinema, un’altra è il teatro musicale, un’altra ancora la regia etc. cioè se uno ha un istinto creativo è giusto che lo esprima. Poi in realtà per me è una salvezza fare teatro musicale, perché in teatro posso fare il protagonista, cosa che non mi viene concessa in televisione o al cinema. Mi sentirei un po’ castrato nel prendere la decisione di fare solo una cosa, anche se per me la parte attoriale è quella preponderante. Io sono e mi sento attore, poi se una volta mi offrono una regia ovviamente mi impegno al massimo condividendo con gli altri le mie idee.
Con la musica come è messo? Le piace e se si quale tipo? Le faccio questa domanda perché sono un appassionato di jazz e blues e vorrei sapere se le piacciono questi generi musicali.
Sono stato cresciuto a musica rhythm & blues e black, con Lionel Richie e Stevie Wonder e ho avuto la fortuna di vedere un concerto di Michael Jackson, quindi questo tipo di musica mi ha nutrito tanto da ragazzo. Adesso invece sono attratto più dalla musica classica.
Quando le hanno offerto il ruolo di Mimmo D’Intino, ha capito subito il potenziale di questo personaggio, che sembra secondario ma in realtà non lo è affatto? Quale definizione darebbe di D’Intino? (ho visto la puntata di mercoledì 24 marzo, e le confesso che sono rimasto molto male da come viene trattato dal vice-questore Schiavone)
Personalmente io sono molto felice che tantissima gente è rimasta male, perché innanzitutto vuol dire che il pubblico si è affezionato al ruolo, poi dimostra anche i coraggio dell’autore, Marco…, ed anche mio, perché la scena avremmo potuto trasformarla in una scena da commedia, invece l’abbiamo voluta spingere dal punto di vista drammatico per dare anche un twist alla gente. Difatti basta vedere i social per rendersi conto che si è acceso un dibattito e quindi probabilmente abbiamo visto giusto e centrato l’obiettivo. Effettivamente questo personaggio poteva essere di contorno, il mio mestiere consiste nel trasformare qualsiasi materiale che mi viene offerto in qualcosa che poi diventi importante. Io affronto il protagonista del Musical “la fabbrica di cioccolato”, Willy Wonka e D’Intino con la stessa passione, lo stesso studio e lo stesso lavoro, che ho condiviso con il mio coach d’abruzzese Giorgio Giurdanella. E’ stato un duro lavoro affinché quel ruolo non diventasse pura scenografia, quando me l’hanno proposto mi hanno detto: vuoi fare un ruolo da stupido? Io ho risposto no, non accetto un ruolo da stupido, nel senso che un matto non sa di esserlo, altrimenti si suiciderebbe, lo stupido non sa di essere stupido, D’Intino è un personaggio, almeno dal mio punto di vista, disegnato su un’altra partitura e se capitano su una partitura più grande di loro, stonano. Ma io non credo che D’Intino sia uno stupido, altrimenti la gente non gli vorrebbe bene.
“D’Intino: un personaggio disegnato su un’altra partitura”
Parlando con l’ufficio stampa di Rocco Schiavone, ho saputo che tra le produzioni c’è la Beta film che è una società tedesca. So che il vice-commissario Schiavone è famoso anche in Germania, grazie a Sky che lo trasmette, e quindi anche D’Intino è conosciuto. Mi sono sempre chiesto come può cambiare la vita di un attore o di un personaggio se raggiunge certi livelli di notorietà?
Ma guardi io sarei felicissimo di aver già raggiunto una certa notorietà, solo per il fatto che questa cosa potrebbe portarmi a interpretare ruoli sempre più gratificanti davanti alla macchina da presa, ma in realtà la gente ancora ama D’Intino e sta forse solo proprio ora, e proprio grazie a lui, incominciando a conoscere Christian Ginepro, l’attore dietro al personaggio. Non mi era mai capitato di ricevere decine di messaggi al giorno di affetto e stima sui social. Sono un artigiano di questo mestiere e questa cosa nutre più il mio orgoglio piuttosto che la mia vanità. Nel mio Dna ci sono le scale e non l’ascensore. Continuo a spingere sui gradini, ma con grande serenità. Certo sono contento che la gente mi riconosca e mi fermi per strada, ma sinora l’unica cosa che m’ha cambiato la vita è stata la nascita di mio figlio, 5 anni fà. Faccio parte di quella categoria di attori riconoscibili, ma non riconosciuti. Spero con il mio lavoro di riuscire a cambiare categoria, ma, ripeto, solo per avere poi il privilegio di vedermi affidati sul set ruoli con determinate potenzialità attoriali.
Ha degli hobby particolari? Che ne so è uno sportivo?
Considerando che nasco come danzatore, mi tengo in forma da 33 anni. Ancora mi chiamano tantissime scuole di danza, in tutta Italia, nei fine settimana a fare degli stages di Musical per ragazzi e adulti e quindi quella è la mia attività. Per quanto riguarda lo sport, invece il mio cuore batte per la Vis Pesaro, la squadra della mia città.
Quali sono i suoi progetti attuali e quali quelli futuri? (se ne può parlare) e se ha un sogno nel cassetto
Intanto nei progetti futuri sperare che Antonio Manzini (l’autore di Rocco Schiavone) faccia fare pace tra Schiavone e D’Intino, per poter continuare la serie. Teatralmente ci saranno grossissime novità, sarò protagonista di due o tre grandissimi Musical a Milano, di cui purtroppo non posso dire il nome, per quanto riguarda il cinema e la televisione io faccio parte di quei attori che più che artisti sono artigiani e ogni volta devono riconquistare il loro piccolo spazio. C’è chi cammina sulle scale mobili e chi deve fare le scale normali. Io faccio parte di quelli che devono fare le scale, però le faccio con molto orgoglio e dignità. Invece c’è un progetto che mi sta a cuore e vorrei parlarne: è la mia Associazione: “Famiglia Ginepro”(www.facebook.com/groups/395619077182242), con la quale in sette anni abbiamo già raccolto e donato più di 170 mila euro, sia in Siria per le vedove della guerra, sia in Benin ed Etiopia per adozioni a distanza di gruppo, che in Italia le case di accoglienza di famiglie in difficoltà che devono portare i figli al Bambino Gesù e mensa per persone in difficoltà dove vado anch’io a fare volontariato.
Danilo Bazzucchi