L’artista crotonese, pianista, compositore e interprete di rara e raffinata intensità espressiva, dialoga con Jazz Around sul suo percorso musicale, dai primi passi a Firenze ad oggi. Sergio Cammariere ha nell’ anima l’eco delle note dei grandi maestri del jazz, i ritmi latini e sudamericani, la musica classica e lo stile della grande scuola cantautoriale italiana e soprattutto, un’innata predisposizione per la composizione musicale.
Quando hai capito che quella della musica poteva essere per te la strada principale da percorrere?
E’ un rapporto di vita che c’è da sempre, probabilmente da quando sono nato e il pianoforte lo strumento attraverso il quale esprimo tutto me stesso. La mia prima apparizione risale al teatro Apollo di Crotone, dove sono nato. Avevo circa 9 anni e già suonavo in una mini-band assieme a un coro di voci bianche, coadiuvati dal nostro maestro di musica della scuola elementare. Proponevamo dei piccoli recital durante i giorni di festa e conservo ricordi del teatro pieno con i nostri genitori nel pubblico. All’epoca suonavo una melodica soprano, piccolo strumento a fiato su due ottave. Quando ho lasciato la mia terra per trasferirmi a Firenze avrei dovuto continuare gli studi universitari, invece è iniziata la mia storia, suonavo tutte le sere, dallo Yellow Bar al Caffe Paszkowski. Alla fine degli anni ’80 ho cominciato a mettere a fuoco le mie prime composizioni e successivamente sono entrato a far parte della It Dischi di Vincenzo Micocci, il discografico che ha contribuito all’importanza della canzone d’autore, dando spazio anni prima ad artisti come De Gregori, Venditti, Dalla, Fortis, Gaetano, Cocciante, Ron, Minghi.
Qual è il tuo rapporto con le parole, visto che preferisci dedicarti alla composizione musicale: hai sempre affidato i testi a Roberto Kunstler, perfino a Pasquale Panella?
Con Roberto ogni volta è una vera alchimia; innamorati dell’endecasillabo, siamo molto attenti a non usare accenti errati, soprattutto evitando le aporie, dipende molto dal significato e da ciò che si vuole comunicare. Trattandosi di musica sappiamo che ogni parola comunque è suono, quindi non ci accontentiamo più solamente di un bel testo, ma vogliamo che i testi delle canzoni suonino al massimo delle loro possibilità. Curiamo le bozze quotidianamente ma sono principalmente due i procedimenti per creare una canzone. Il primo nasce dal pianoforte, registro quotidianamente le mie improvvisazioni in tonalità diverse, poi scelgo le sequenze più interessanti o le melodie più convincenti per assemblarle in un quadro armonico. Il secondo arriva dalla composizione metrica e di solito mi affido a Kunstler e alla sua poesia, la nostra collaborazione è attiva da 33 anni. Nel frattempo ho lavorato con altri autori: Pasquale Panella, Sergio Bardotti, Samuele Bersani, Giulio Casale, Sergio Secondiano Sacchi….. Con Pasquale ci frequentiamo da anni.
Nel 2000 Michele Bovi, giornalista della Rai, invitò Panella nel suo speciale su Battisti. Il desiderio di Panella era quello di cantare un brano che adorava da sempre, La mer di Charles Trenet, tradotto da lui ma soprattutto arrangiato da me per l’occasione. Registrammo la puntata negli studi della RCA, c’erano Francesco Puglisi al contrabbasso, Cristiano Micalizzi (l’attuale batterista dell’orchestra di Sanremo) e Olen Cesari al violino. Pasquale, Lino per gli amici, cantò il brano dal vivo con la sua voce penetrante e roca. L’anno dopo registrai il mio primo album DALLA PACE DEL MARE LONTANO e suonammo nel disco una versione del brano Trenet/Panella “IL MARE”. Nel decennio successivo abbiamo scritto insieme qualche canzone, alcune pubblicate come NIENTE e LE COSE DIVERSE, altre inedite rimaste chiuse nel cassetto. Pasquale è una persona molto particolare, oltre alla segreteria telefonica adopera diversi filtri prima di fissare un appuntamento, i nostri incontri avvenivano quasi sempre a casa sua, solo una volta è venuto a trovarmi e conservo con tenerezza tutte le immagini girate quel giorno
Sappiamo che non hai studiato musica, ma che suoni ad orecchio. Per paradosso, questo è un limite o un vantaggio? Talvolta lo studio risulta limitante in termini di spontaneità.
Hai già risposto alla domanda. Sono un’autodidatta, ma all’inizio ho preso lezioni di piano studiando solfeggio e suonando qualche sonatina di Clementi, ma la cosa non mi appassionava, preferivo seguire il mio istinto. Dopo qualche mese riuscivo a suonare il mio brano preferito “Per Elisa” di Beethoven ad orecchio, ma anche brani come Firth of Fifth dei Genesis.
Qual è invece il rapporto di Sergio Cammariere con il jazz e quanto questa musica ne ha condizionato la crescita ed il modo di operare?
Considero il mio primo maestro inconsapevole Lino Patruno che incontrai negli anni 70 a Crotone. Lino mi ha insegnato gli accordi di Stardust, lezione d’armonia per un ragazzo allora quindicenne come me. Qualche anno dopo, quando si esibì al Teatro Apollo con i suoi concerti jazz, accompagnato da Oscar Klein, Marcello Rosa e Gianni Sanjust, mi invitò a suonare due blues, per me una sorta di iniziazione perché ebbi l’occasione di suonare ed improvvisare con veri musicisti. Oggi credo che l’improvvisazione sia fondamentale per dare nuova linfa alla canzone d’autore. I miei stessi brani ogni volta che li propongo dal vivo assumono una forma diversa, hanno un vestito nuovo e vengono riarrangiati al momento. Ho la fortuna di avere dei compagni di viaggio con cui suoniamo insieme da tantissimi anni, c’è rispetto e sottrazione, e questo ci consente di trasformare ogni volta le composizioni in qualcosa di nuovo.
Quali sono i jazzisti che hanno particolarmente influenzato e ispirato il tuo percorso canoro e compositivo?
Possedevo da ragazzo la collezione completa con 100 vinili I GIGANTI DEL JAZZ, da Louis Armstrong a Charlie Mingus. Ho ascoltato molto gli stardards e maestri come Nat King Cole, Frank Sinatra, Mel Tormè e Tony Bennett. Le loro interpretazioni hanno sicuramente influito sulla mia crescita. Tra i miei pianisti preferiti Peter Nero e Bill Evans, la perfetta sintesi formale.
Sotto il profilo cantautorale, la tua impostazione vocale ed il tuo approccio narrativo ricordano molto gli chansonnier francesi più che certi modelli italiani. Che ne pensi in proposito?
Certamente la scuola genovese ha giocato un ruolo molto importante nella mia formazione come cantautore, Tenco e Paoli in primis, ma anche le opere di Brel, Ferrè, Serrat, De Moraes…
Essendo di Crotone, forse non potrebbe essere diversamente, ma hai dichiarato varie volte di essere un uomo di mare, anche nel senso musicale. In termini pratici e creativi che cosa significa tutto questo?
Il mare l’ho vissuto, respirato, abitato. Durante la mia adolescenza avevamo una casa a pochi metri dal mare, la notte le onde cullavano i miei sogni e in quella esperienza credo di aver percepito (in un mondo astrale) l’essenza della musica. I suoni che arrivavano creati dal vento erano per me una sinfonia che si collegava direttamente al divino, una rivelazione. Ascoltare il mare mi ha insegnato il tempo musicale, l’ordine e la misura. Nella quiete e nella tempesta.
A mantenersi sempre in un’area tematica più engagé, più impegnata nell’ambito della musica italiana, a che cosa si rinuncia, oppure quali sono i vantaggi?
Credo che ogni artista conviva sempre con la sua sensibilità, attento a tutte le tematiche possibili, con il dovere di diffondere messaggi di pace e di fratellanza universale.
Dopo al tua “consacrazione” nel 1997, al Premio Tenco, qual è stato il periodo che ha segnato maggiormente la tua vita a livello artistico?
Dopo il Tenco ho avuto la fortuna di collaborare con tanti artisti e maestri: Toots Thielemans, Gal Costa, Gino Paoli, Lucio Dalla, Ornella Vanoni. Anche gli incontri in ambito cinematografico, penso a Pupi Avati o Mimmo Calopresti, sono stati un grande insegnamento. E poi la scrittura con Dacia Maraini per il teatro, per me è stato come assurgere da una fonte salvifica
In termini di popolarità devi molto anche al Festival di Sanremo. Con “Tutto quello che un uomo”, nel 2003 sei arrivato al terzo posto, vincendo il premio della critica, quindi ci sei ritornato nel 2008 con “L’amore non si spiega”. Alla luce di tutto ciò che è accaduto nella tua carriera, torneresti ancora a gareggiare a Sanremo?
Perche no? Se avessi un pezzo giusto per il festival non esiterei. È l’evento mediatico più importante nel nostro paese. Sono legato a Sanremo, soprattutto al Premio Tenco
Con pochi aggettivi, come definiresti oggi Sergio Cammariere?
Cantautore, pianista e compositore
In conclusione, pensando alla tua collaborazione con Fabrizio Bosso, oppure a “My song” il tuo omaggio a Keith Jarrett, rinunceresti a cantare a favore di un disco jazz strumentale nel senso più ortodosso del termine?
In parte l’ho fatto con i miei due dischi di Piano solo, Piano e Piano nudo. Non so se è jazz, comunque ci ho messo l’anima.