TrioRox è composto da tre protagonisti della scena musicale italiana (e non solo): il pianista Giovanni Guidi, il bassista Joe Rehmer ed il musicista elettronico DJ Rocca (Luca Roccatagliati). Tre personaggi che vantano un curriculum eclettico e consistente. Guidi, enfant prodige del piano Jazz, ha collaborato con i migliori musicisti jazz ed elettronici, da Enrico Rava a Matthew Herbert, da Joe Lovano a Ricardo Villalobos. Joe Rehmer, americano trapiantato in Italia, è uno dei bassisti più richiesti e ha condiviso palchi e studi di registrazione assieme ad autorità come Bob Mintzer, James Moody e Danny Gottlieb. DJ Rocca è un digei e musicista attivo dagli anni novanta, e vanta numerosi album, singoli e remix con, e per protagonisti fondamentali della scena dance alternativa (Andrew Weatherall, Dimitri From Paris ed Howie B), come una militanza nella scena jazz con svariati album assieme a Franco D’Andrea. La musica che propone il trio è una commistione di elettronica, dance, Jazz e pop, con slanci di groove nel campo della musica house e techno, senza tralasciare commistioni tra electro, classica e minimalismo. E’ da poco uscito “Moods“, il loro primo album per IRMA Records, con ospiti Luigi Di Nunzio, Gianluca Petrella, Dan Kinzelman e Jacopo Fagioli.

Intanto, quando vi siete incontrati e come è nata l’idea del progetto cosi articolato che parte dal jazz per poi dipanarsi in molte altre direzioni?

Giovanni Guidi ed il sottoscritto, artisticamente si conoscevano già per le rispettive produzioni e performance. In particolare io avevo assistito ad un concerto di Giovanni con Matthew Herbert e Enrico Rava, un ottimo connubio tra jazz ed elettronica. Il nostro vero incontro avvenne per caso: grazie ad un concerto che dovevo tenere in duo a Roma nel settembre 2022. Il pianista Franco D’Andrea (con cui avevo l’album in promozione), venne sostituito con Giovanni Guidi. Senza provare nulla, ma improvvisando solamente, la nostra performance andò benissimo, e quella fu la scintilla che ci portò alla prospettiva di un progetto più strutturato. L’idea iniziale del progetto Triorox fu di incrociare le musiche elettroniche da club, con il jazz più sperimentale, performando tutto dal vivo…forti di questa intuizione, ci siamo messi concretamente alla prova, assieme al bassista Joe Rehmer. Un intensa sessione di registrazione ha prodotto cose in studio: un grosso blocco di musica, poi cesellato in post produzione.

Il disco nasce dalla confluenza di tre anime diverse. Che cosa vi lega realmente, a parte l’amore per la musica?

La cosa che ci lega maggiormente è l’assenza di steccati. Nessun pregiudizio, e nessuna paura ad affrontare linguaggi sonori, anche in contrapposizione tra loro. Questo pensiero comune ci ha permesso di creare musiche con grammatiche diverse, che solitamente non si è abituati a coniugare tra loro.

“Moods” nasce dalla fusione di elementi variegati che amalgamano insieme ritmi, suoni, effetti, ma anche da un insieme di stati d’animo personali e di gruppo?

Le nostre tre anime musicali vengono da esperienze diverse, ma accomunate dal Jazz e dalla sua libertà nell’affrontare linguaggi espressivi tra i più disparati. Giovanni Guidi è cresciuto immerso completamente nel Jazz, ma vivendo nell’attualità, frequenta, il mondo del clubbing. Questa sua esposizione al circuito della musica elettronica, gli ha sviluppato una curiosità verso quel tipo di timbri. Joe Rehmer, è americano, e notoriamente, l’educazione musicale di quel continente è aperta a 360°, consentendo un approccio alla materia veramente aperto. Il mio percorso, invece potrebbe essere opposto a quello di Giovanni: lo studio della musica classica al conservatorio, e l’amore per il jazz, sono stati perennemente filtrati attraverso la passione per la musica da club. In quanto DJ, ho sempre sentito l’urgenza di fondere le mie anime musicali, quella elettronica, e quella della musica afro americana. La chimica che ha unito le nostre tre menti è stata magica. Inizialmente ero un po’ smarrito nell’unire le melodie di Giovanni, con le grammatiche elettroniche, ed i bassi geniali di Joe, ma più procedevo nel mixaggio, maggiormente si percepiva personalità nella nostra musica.

Ci raccontate quali sono state le varie fasi del progetto: per esempio, avete lavorato di più sulla composizione o più sull’improvvisazione in studio, o magari avevate già testato il materiale durante le esibizioni dal vivo?

Prima di trovarci in sala di registrazione, ci siamo scambiati materiali audio, rimanendo ognuno a casa nostra. Mandavo basi scarne a Giovanni, e lui creava temi, mentre Joe ci proponeva linee di basso. Questo accadeva da settembre 2022 a Novembre dello stesso anno, mese in cui ci siamo chiusi nello studio Entropya di Perugia, dove per tre giorni abbiamo registrato varie versioni dei brani, come eseguito lunghe improvvisazioni. Tutto il materiale è venuto con me a Reggio Emilia, e nei freddi mesi dell’inverno 2023, ho lavorato dando forme e arrangiamenti sensati ad ogni brano. Il repertorio grezzo è poi stato sottoposto all’esecuzione dal vivo in cinque concerti svolti nel 2023. Le esibizioni ci hanno permesso di capire forme più perfette per una definitiva foggia incisiva su ogni traccia.

Come avete scelto gli ospiti e con quale criterio avete inserito le loro performance nelle singole tracce?

La maggior parte degli ospiti era già nella nostra testa, prima ancora di coinvolgerli, a parte Jacopo Fagioli. Gianluca Petrella, Dan Kinzelman e Luigi Di Nunzio sono collaboratori sia di Giovanni Guidi sia di Joe Rehmer, invece Jacopo lo abbiamo arruolato dopo un concerto in cui Triorox seguiva al suo. Kinzelman e Luigi suonano nei brani che Giovanni aveva già individuato come idonei per loro, mentre Petrella ha scelto personalmente ‘Mirror’. La traccia per Fagioli è stata una mia idea, perchè il suo stile tra Don Cherry e Miles, sarebbe stato perfetto nell’atmosfera di ‘Mood One’. La performance muscolare di Luigi Di Nunzio su ‘Sax & The City’, invece, è nata dall’esecuzione di quel brano sul palco: abbiamo deciso di registrarlo in extremis, e di includerlo alla tracklist dell’album.

Tra le dieci tracce, quali sono, a vostro avviso, quelle che vi convincono di più, visto avete toccato ambiti sonori assai differenti, fra jazz, dance, elettronica, rock, techno, dub ed effettistica?

E’ come domandare ad un genitore quale figlio preferisce…la scelta dei dieci brani di Moods, è già frutto di una scrematura: abbiamo scartato alcune tracce che non ci persuadevano, tenendo quelle più convincenti per il nostro gusto. Ogni composizione tocca ambiti sonori che hanno a che fare con l’universo della musica elettronica, che sia da club o meno, ma eseguiti attraverso il linguaggio del jazz, cercando di non rimanere imbrigliati in nessuno genere.

Una delle composizioni ha per titolo “Corea”, si riferisce a Chick Corea, pianista irrequieto e sempre pronto ad incontrare differenti universi sonori?

Esattamente. Armando Corea ha sempre avuto quella vena mediterranea nelle sue composizioni, ed il brano in questione svolge un tema che ha richiamato in noi il suo spirito…ma, come dicevo sopra, abbiamo cercato la fusione degli elementi. Il richiamo al grande pianista, ma anche l’ossatura Techno di Carl Craig, come anche il tripudio di percussioni tipico dell’house più tribale. Il tutto stemperato dagli assoli di Giovanni, e del flauto.

Pensate che il jazz in futuro per sopravvivere debba praticare necessariamente la strada della contaminazione e della confluenza di vari stili e linguaggi?

Direi che questa è sempre stata la lezione più grande del Jazz nella sua storia. E’ insita la permeazione con ogni linguaggio, che sia il rock, che sia la musica latina, il folk giapponese, la musica contemporanea o, ieri come oggi, la musica elettronica. Il Jazz è un linguaggio che può essere applicato ad ogni stile o genere, la contaminazione è la benzina con cui si alimenta.