L’album si apre con l’invitante voce del radio broadcast announcer, Guy Wallace, che funge da anfitrione e da guida all’interno di un album che sembra far rivivere il suono di un’epoca: quella abitata dalle divinità olimpiche del jazz.
Un disco di Miles Davis curato da Enrico Merlin è già una garanzia di qualità: Enrico è il massimo esperto e conoscitore mondiale del trombettista di East St. Louis. Miles Davis ha tagliato trasversalmente almeno quattro epoche del jazz, determinando cambiamenti e favorendo la nascita una schiera di imitatori. Tra 1956 ed il 1958, Davis era ancora uno dei più acclamati rappresentati del bop, sia pure già rimodulato in maniera originale, sia sotto il profilo strumentale che espressivo. In questo lasso di tempo Miles si esibì ripetutamente al Café Bohemia, situato al 15 di Barrow Street, nel Greenwich Village di New York, locale gestito da un italo-americano, tale Jimmy Garofalo, il quale ne aveva affidato la direzione artistica ad Oscar Pettiford. Nel breve volgere di qualche stagione il Café Bohemia, che fungeva anche da ristorante, divenne il luogo di confluenza dei massimi esponenti del jazz moderno, nonché una delle sedi da cui veniva messo in onda dal Mutual Network Radio Broadcasts il programma «Bandstand U.S.A.». Ogni settimana il presentatore Guy Wallace, spesso accompagnato da ospiti, registrava e trasmetteva i live dal locale di Garofalo. Miles Davis venne incluso in questa serie trasmissioni, per ben otto volte, fra il 15 settembre 1956 e il 17 maggio 1958. Parte del materiale, ancora inedito, fissato su nastro in quelle date, è stato pubblicato dalla GRooVE Back Records in vinile audiofilo, dopo un lungo ed accurato lavoro di pulizia e restauro, di esegesi filologica ed un’importante correzione, poiché le edizioni precedenti giravano sotto tono ad una velocità sbagliata rispetto alle esecuzioni originali.
La produzione ci tiene a precisare: «Si tratta di una vera macchina che viaggia nel tempo e nello spazio, in quanto abbiamo cercato di restituire il suono di quell’epoca nel modo più fedele possibile. Per migliorare e rispettare filologicamente quel mondo sonoro, abbiamo deciso di pubblicare anche tutti gli annunci (di Guy Wallace e dei suoi ospiti) nella loro versione completa. Alcuni aspetti molto interessanti e imprevisti emergono da questi annunci, che aiuteranno l’ascoltatore a vivere al meglio quell’epoca, sia da un punto di vista sociale sia storico». In verità la potente voce radiofonica del presentatore, che appare vicina e palpabile, crea nel fruitore l’effetto psichico del transfert, proiettandolo in quel magnifico universo musicale in cui Miles Davis alla tromba si esibiva accompagnato da John Coltrane al sax tenore, Red Garland al piano, Paul Chambers al contrabbasso e Philly Joe Jones alla batteria. L’album si apre proprio con l’invitante voce del radio broadcast announcer, Guy Wallace, che funge da anfitrione e da guida all’interno di un album che sembra far rivivere il suono di un’epoca: quella delle divinità olimpiche del jazz.
«Well You Needn’t» dà la stura musicalmente la prima facciata del microsolco, fissando subito le coordinate del viaggio basato su un bop a tinte coolness come lascia presagire l’annunciatore che definisce Davis «a cool young man». Miles e Trane disegnano abilmente la trama melodica, sospinti dal flusso accordale di Red Garland e dai custodi retroguardia, Chambers e Jones, che garantiscono un groove serrato e mercuriale. «It Never Entered My Mind» è una ballata brunita e carezzevole introdotta dal piano, su cui Davis, mutizzando lo strumento, raggiunge abissali profondità emotive, sostenuto da un comping leggiadro e spazzolato. Con «A Gal in Calico», il piano di Garland ed il walking energivoro di Chambers introducono il line-up sul terreno di un swing scattoso e riffato, dove Miles appone le sue note spaziate e pungenti come perfetti punti di sutura, aprendo i cancelli ad un tonico Coltrane che volteggia con fare sicuro e disinvolto, mentre la sezione ritmica funge costantemente da collettore: splendido l’assolo zampillante di Garland, da manuale l’interplay fra i due fiati. La Side-A del vinile si chiude con «Stablemates», un ottimo esempio di hard bop declinato con una regola d’ingaggio molto personale, imperniata su una suddivisione della partitura del tutto imprevedibile, dove soprattutto Coltrane sembrerebbe avere giurisdizione, mentre Davis spizzica qua e là, senza mai accanirsi sul costrutto armonico, quasi come se fosse soggiogato dall’ancia del suo prezioso sodale; ovviamente, la retroguardia non lascia ria ferma.
La B-Side si apre con «How Am I to Know?» un bop giocato in overclocking, alla barba della coolness, sul quale Davis sembra adagiare le sue note come una pellicola aderente, mentre Trane tenta un breve verticalizzazione e Chambers usa perfino il basso ad arco diventando la rampa di lancio per un Davis inarrestabile, fino al sopraggiungere dell’annunciatore che ne magnifica le virtù. «The Theme», dura solo un minuto e mezzo e Davis se lo gioca quasi fosse un intermezzo o una camera di decompressione, creando un’atmosfera d’attesa, subito soddisfatta dall’arrivo di «Woody’n You», dove gli insegnamenti di Parker e Gillespie sembrano ancora più vivi che mai, anche se ampliati dalle marcate personalità dell’intero line-up: Miles sembra davvero in palla e veloce con un ultrasuono, Coltrane tenta qualche trasversalità ed un lungo fraseggio finemente abrasivo, mentre la sezione ritmica non fa sconti a nessuno. «Walkin’ [Gravy]» diventa la rappresentazione plastica del Miles Davis di quel periodo, capace di rimodulare il bop e cominciare a sporgersi oltre i canonici dettami delle genere: sette minuti in cui l’interscambio ed il gioco di squadra diventano piccoli capitoli adatti ad un manuale del jazz moderno. In chiusura «All of You», di cui basta ascoltare solo le prime note della tromba in sordina, per comprendere il valore di queste registrazioni, le quali rimandano ad un momento irripetibile della storia, quando le divinità del jazz camminavano ancora a fianco degli uomini.
Francesco Cataldo Verrina