Per capire l’importanza del primo disco, The Song Is You (ECM, 2022), registrato assieme da Enrico Rava (flicorno) e Fred Hersch (pianoforte), e di come dovrebbe essere vissuta l’esistenza jazzistica, si può partire da molto lontano da una breve sequenza del film Festa di laurea (1985) di Pupi Avati.
L’orchestrina invitata a suonare appunto al rinfresco, per essere à la page impara un nuovo brano jazz: e lo fa ascoltando a brandelli un 78 giri, sollevando la puntina a ogni battuta (imparata a memoria) più volte, finche il pezzo non venga totalmente memorizzato dall’intera band. Si tratta di un metodo arcaico, forse superato, ma che dovrebbe essere reintrodotto negli insegnamenti ufficiali, ovviamente accanto alle metodologie più colte, moderne, raffinate; certo oggi c’è anche il supporto video a facilitare l’apprendimento istantaneo, persino filmati didattici che spiegano tutto o quasi; resta tuttavia impagabile l’esperienza, reiterata persino gli esponenti del free, ancora negli anni Sessanta-Settanta, mediante i vinili a 33 giri, della fruizione discografica quale forma d’insegnamento diretto, naturale, coinvolgente, assai più di uno spartito o di un professore. L’ascolto del disco in questo modo riguarda soprattutto i cosiddetti standard o brani originali che lo diventano ben presto (e per questo vengono chiamati jazz standard).
Oggi invece c’è molta presupponenza in merito sia all’ascolto discografico sia all’uso degli standard (in quest’ultimo caso forse per eccessiva insistenza nei programmi scolastici e conservatoriali); sta di fatto che i giovani jazzisti esordiscono spesso con album di loro composizioni, per poi continuare a sciorinare original quasi sempre di mediocre levatura sotto il profilo della scrittura. Fatta salva l’avanguardia, che può permettersi di trasgredire avendo ben altri obiettivi culturali, non ha senso, dato il lascito straordinario di brani swing, bebop, cool, hard bop, ostinarsi solo a comporre ‘alla maniera di’ per apparire ‘diversi’ o ‘superiori’ giacché, per usare un gioco di parole, non c’è proprio nulla di originale negli original di oggigiorno (forse la Storia con la S maiuscola tra qualche anno potrà confermarlo o meno). Paradossalmente sono proprio i grandi vecchi, spesso dai passati artisticamente irrequieti, a favorire la perenne attualità degli standard medesimi suonandoli, proponendoli ai concerti e registrandoli su disco, magari inframmezzati con altre situazioni espressive.
La canzone (ossia lo standard) The Song Is You che dà il titolo all’album riguarda simbolicamente un ‘tu’ emblema sia del jazz e del jazzista: il carattere di questa musica consiste infatti in un tu in grado di fondere, sovrapporre,mescolare, includere i suoni, le idee, i movimenti, le percezioni, i linguaggi, da ogni angolo del Pianeta; ed ecco che il disco sugli standard non a caso per Aava e Hersch alla fine di una carriera, non tanto per ribadire il mestiere, quanto piuttosto nell’omaggiare il jazz stesso. L’italiano (1939) e lo statunitense (1955), nonostante il distacco anagrafico di un generazione e mezza, offrono sette standard su otto mediante il dialogo intensissimo flicorno/pianoforte, impiegando altresì spazi e tempi espansi, dove le note e i silenzi sono elementi non solo autoreferenziali ma soprattutto precipui della loro identità e di quella stessa jazzistica: s’illumina infatti la maestria di entrambi di raccontare inedite esplorazioni sonore attraverso un songbook consolidato, che non brilla certo di luce riflessa, ma al contrario rinasce a nuova vita, magari distante dalle valenze originarie di ogni standard: l’album infatti consta di musiche dolenti, crepuscolari, nostalgiche quasi ad esprimere una visione del mondo tra malinconia e lirismo, tra pieni e vuoti, tra rincorse e appianamenti.
Ed è il noto pezzo (1932) di Jerome Kern e Oscar Hamnmerstein II che dà il titolo all’intero album che risulta idealisticamente centrale rispetto agli otto pezzi: letteralmente ‘La canzone sei tu’ in chiaro riferimento a una donna amata, nel disco, ovviamente strumentale (il duo per flicorno e pianoforte) acquista una configurazione simbolica rispetto agli altri song del CD: a parte il secondo Improvisation, concernente una situazione tra Rava e Hersch, gli altri sei rientrano chiaramente nel novero degli standard: nella prima metà Retrato em Branco e Preto (1965) caposaldo della bossa nova brasiliana, I’m Getting Sentimental Over You (1935) canzonetta di George Bassman e Ned Washington, ricordata per la versione ballad dell’orchestra di Tommy Dorsey, la title track dal teatro, ma jazzata da Frank Sinatra; la seconda metà appartiene al novero dei jazz standard con i Child’s Song (1983) e The Trial rispettivamente di Fred ed Enrico, e un finale tutto del geniale Thelonious Monk con Misterioso (1958) e ‘Round Midnight (1944): tutti standard, classici o moderni, termine con cui si qualificano i brani entrati nel repertorio jazzistico e condivisi dalla comunità mondiale di solisti e gruppi.
Guido Michelone